Le cifre sono di quelle che fanno fare un salto sulla sedia: infatti, secondo una ricerca Boston Consulting, sono circa 1,3 miliardi in tutto il mondo i lavoratori interessati da quel fenomeno che abbiamo imparato a conoscere come skill mismatch. Un lavoratore su tre nei Paesi appartenenti all’Ocse è troppo o troppo poco qualificato per il lavoro che ha o che potrebbe trovare, un trend che la società di consulenza ha provato anche a quantificare in termini economici, con dati altrettanto sorprendenti.
Le cifre sono di quelle che fanno fare un salto sulla sedia: infatti, secondo una ricerca Boston Consulting, sono circa 1,3 miliardi in tutto il mondo i lavoratori interessati da quel fenomeno che abbiamo imparato a conoscere come skill mismatch. Un lavoratore su tre nei Paesi appartenenti all’Ocse è troppo o troppo poco qualificato per il lavoro che ha o che potrebbe trovare, un trend che la società di consulenza ha provato anche a quantificare in termini economici con dati altrettanto sorprendenti: la disparità fra le competenze disponibili sul mercato e quelle richieste dalle aziende vale oggi il 6% del Pil mondiale, ossia 8mila miliardi di dollari, e sembra destinata a crescere. Se non si interverrà con un piano di riqualificazione si potrebbe arrivare, nel 2025, a un impatto sul Pil dell’11%, pari a 18mila miliardi di dollari.
E in Italia?
Anche in questa particolare classifica l’Italia non brilla: la percentuale di skill mismatch si attesta attorno al 38%, il che significa che quasi 10 milioni di lavoratori non hanno le competenze adeguate per rimanere in un mercato del lavoro sempre più competitivo. Da noi si sconta soprattutto una carenza di formazione, ma anche di autoformazione: se si guarda infatti al dato relativo alla partecipazione degli italiani ai cosiddetti MOOCS (i Massive Open Online courses, opportunità di formazione gratuite messe a disposizione da vari consorzi che riuniscono le migliori università a livello mondiale), emerge che mediamente siamo sotto la metà rispetto ai Paesi che guidano la classifica, pur trattandosi di corsi online completamente gratuiti, che potrebbero colmare i gap formativi di molte persone. I più ricchi e qualificati sono Coursera (fondato da due docenti dell’università americana di Standford, offre per esempio i corsi targati Bocconi), EDx (il Mooc di MIT e Harvard) e Udacity per quanto riguarda i corsi in lingua inglese, ma ci sono anche piattaforme italiane come Eduopen e Polimi Open Knowledge, del Politecnico di Milano. Un’opportunità interessante è anche quella offerta proprio dal Gruppo Adecco con Phyd (phyd.com), un portale su cui è possibile reperire molti strumenti per valutare lo stato di salute della propria professionalità ed eventualmente corsi per integrare le lacune.
Professioni nuove, anzi nuovissime
«È facile notare che il mismatch è spesso acuito dal fatto che i nuovi lavori sono sempre più lontani dalle mansioni che conosciamo e a cui potevamo aspirare da bambini - evidenzia Andrea Malacrida, amministratore delegato di The Adecco Group Italia - Si tratta infatti di professioni che coprono più settori e ambiti contemporaneamente, per le quali al momento la scuola o l’università non ci preparano adeguatamente». Basta leggere i nomi di alcuni dei sei profili che saranno molto richiesti nel prossimo futuro per accorgersene: accanto al data scientist e all’energy manager che abbiamo imparato a conoscere, ci sono infatti il broad band architect per la tv via Web, il cloud architect, il “growth hackwer”, una via di mezzo fra un ingegnere informatico e un esperto di marketing, e, infine, l’UX designer, lo specialista che studia come costruire un’esperienza positiva per il cliente di un sito o di un’app.
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Phyd sfida lo skill mismatch